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AvatarMaurizioAlta Quota - Pamir Road 2017

PERIODO: Luglio-Agosto 2017 > GIORNI: 38 > KM: 16000
PAESI ATTRAVERSATI: Slovenia, Ungheria Ukraina, Russia, Kazachistan, Uzbechistan, Tagichistan, Kirghizistan Kazachistan, Russia, Ukraina, Ungheria, Slovenia

Alta Quota - Pamir Road 2017: ALTA QUOTA – PAMIR ROAD 2017


Parto alla volta del Tagikistan il 25 di Luglio, con l’intento di essere di ritorno a casa per fine Agosto.
Slovenia, Ungheria, Ucraina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e ancora, Kazakistan, Russia, Ucraina, Ungheria, Slovenia, sono le nazioni toccate per compiere questa nuova esperienza sulla Pamir Road, in Asia Centrale.
La mitica “Pamir”, parte da Dushanbe, capitale del Tagikistan ed arriva, seguendo la M1, ad Osh, città del Kirghizistan. Si snoda lungo l’omonimo altipiano salendo fino ad una quota di 3000, 3500 metri, per poi innalzarsi ancora a 4000, fino al famoso passo di 4655 metri. E’ una strada normalmente dissestata, l’off road, è di casa da queste parti. Vittima di frane, smottamenti, terremoti, valanghe e fiumi in piena, la Pamir Road, fu in parte asfaltata ad opera dei russi intorno al 1931-34 e da allora, non propriamente conservata e manutentata a dovere, anzi, pur essendo l’unica strada del paese che collega la regione del Gorno Badakhshan, molto spesso abbandonata al proprio destino, o al massimo, ripristinata solo in caso di reale interruzione. Percorrerla, è un qualche cosa di unico, come lo è l’altitudine di queste vette, che tra cime scoscese, paesaggi brulli e desertici dall’aspetto lunare, lascia veramente, è proprio il caso di dirlo, senza fiato. O come la solitudine e l’eccitazione allo stesso tempo, di vivere per alcuni giorni in questi luoghi desolati, scambiando per lo più solo radi contatti con la gente dei pochi villaggi sparsi sul suo percorso, o magari, con i poveri camionisti sfortunati, costretti a soste forzate di giorni e giorni lungo le sue impolverate vie, a causa di terribili incidenti o più probabili rotture del loro mezzo.
Sfioro per un centinaio di chilometri il confine afgano, lungo un tormentassimo fiume limaccioso e violento con rapide impetuose, che sembrano fatte apposta per dividere i due paesi; il confine cinese invece, è lì, semplicemente oltre lo steccato di legno e filo spinato; due metri mi separano dalla Cina … ma rimango sulla strada, da queste parti è meglio rimanere al proprio posto.
Parecchi giorni di viaggio, per arrivare ed assaporare questi luoghi estasianti. Distese smisurate di girasoli su campi infiniti in un’Ucraina dall’apparenza tranquilla, boschi a perdita d’occhio e sconfinati campi di grano sulle incommensurabili pianure della Grande Russia; deserti, steppe, aridissimi pascoli e città hollywoodiane invece sulle piane sterminate del Kazakistan, e poi, c’è l’Asia, quella vera, con i bazar di Tashkent o di Dushanbè, le sete, le spezie, le ceramiche, gli odori, i profumi, i colori, i sapori, le persone che ti accolgono, ti salutano e ti sorridono con i loro occhi a mandorla … un altro mondo.
La moto, anche quest’anno, è stata il piccolo Kawa, (KLE 500), un ‘500 di poche pretese, di sicura affidabilità e semplicità, preparato all’occorrenza. Gli accessori invece, erano il meglio del mercato, quelli che da anni ormai mi accompagnano in svariate avventure; ritengo che ogni componente, borse, valige, pantaloni, giacca, stivali, casco, tenda, sacco a pelo, ecc. sia importantissimo per la riuscita a pieno di un viaggio, soprattutto se in solitaria, e così infatti, è stato. 16000 chilometri in 37 giorni, con pochi contrattempi tecnici, risolti sul posto; tante tante emozioni, a volte fatica, stress e pure paura, paura di cadere, ma non di altro. Cadere, era la mia paura, soprattutto nelle lande disabitate lungo gli sterratoni della Pamir, questo perché, la moto a prima vista era troppo carica, pur portandomi appresso solo lo stretto indispensabile per un viaggio così lungo e dalle tante variabili possibili.
Arrivare in queste terre lontane, partendo da casa con la mia moto, viaggiando un giorno dopo l’altro, un chilometro dopo l’altro, un confine dopo l’altro, ha reso questa esperienza ancora più autentica, completa una vera conquista. Un esperienza decisamente unica ed alternativa, nata da un pensiero, un’idea, una semplice curiosità, ma anche un’esperienza di vita importante, che mi ha permesso di conoscere e scoprire, altri popoli, culture, costumi e un altro angolo di Asia.
Ho visto luoghi incantati, sospesi tra terra e cielo, villaggi di confine in luoghi dai nomi esotici, fatti di gher o di fango, paglia e sterco che sembrano dei miraggi ad arrivarci dopo ore di viaggio. Ho corso su strade che si perdono all’infinito tra creste di montagne ricoperte da ghiacciai perenni, in altitudini per noi impensabili da raggiungere in moto e altipiani a quattromila metri circondati dal nulla assoluto che racchiudono laghi magici.
Ho scattato migliaia di foto e ripreso ore di video, ma per comprendere le emozioni che si vivono affrontando un viaggio, che sia esso in solitaria oppure no, non c’è altra soluzione che mettere da parte tutte le paure che ci vengono inculcate e gli stereotipi che ci hanno insegnato, e partire, lasciare il porto sicuro, alla volta di luoghi sconosciuti, ma soprattutto, alla scoperta di momenti di straordinario e sorprendente contatto con genti così lontane, ma non per questo così diverse.

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